Il morbo di Alzheimer non è uguale in uomini e donne. Studio italiano apre a terapie personalizzate in base al sesso
Il morbo di Alzheimer non è uguale in uomini e donne: alcuni meccanismi molecolari sono infatti diversi tra i due sessi, in particolare per quanto riguarda il metabolismo di un amminoacido che è stato recentemente proposto come indicatore precoce di tale patologia e che quindi non sarebbe ugualmente affidabile per maschi e femmine.
Lo afferma uno studio italiano, pubblicato a settembre sulla rivista Cell Reports e guidato dall’Università di Milano, al quale hanno collaborato anche l’Università dell’Insubria, l’Università di Milano-Bicocca, quella di Roma Tor Vergata e il Laboratorio di Genomica ed Epigenomica (LAGE) dell’Area Science Park. La ricerca apre la strada anche a terapie differenziate e personalizzate in base al sesso.
I ricercatori hanno analizzato campioni prelevati post mortem da cervelli di uomini e donne con un invecchiamento normale e da pazienti affetti dal morbo di Alzheimer. Il contributo di Area Science Park, spiega Danilo Licastro, responsabile del LAGE, si è concentrato sull’analisi genomica ed epigenomica: la difficoltà maggiore è stata quella di mettere a punto e impiegare un protocollo di analisi che fosse compatibile con i campioni di Rna di tessuto inviati dall’Università di Tor Vergata e precedentemente forniti dalle biobanche, perché trattandosi di tessuti post-mortem non presentavano la stessa qualità di un tessuto fresco.
Le analisi hanno evidenziato profonde differenze in termini di vie metaboliche alterate: due esempi sono la risposta insulinica e il metabolismo dell’amminoacido serina (che genera un importante regolatore delle funzioni cerebrali, la D-serina). Questo è di particolare interesse, in quanto la D-serina modula la neurotrasmissione e anche perché il suo livello nel sangue è stato proposto come marcatore precoce per questa patologia. “Questi risultati mostrano come la malattia di Alzheimer cambia e, per certi aspetti, inverte alcune caratteristiche nei due sessi”, commenta Elisa Maffioli, dell’Università di Milano, “evidenziando così come diversi meccanismi siano attivi o meno in base al sesso e aprendo alla possibilità di intervenire con innovativi approcci terapeutici differenziati tra uomini e donne”.